Il metronomo è uno degli strumenti più essenziale per i musicisti. Grazie a questo è possibile capire la velocità d’esecuzione di un brano (anche se con le moderne tecnologie ha perso molta importanza). Ma in fase di studio, come bisogna comportarsi?
Ci sono studenti che non possono fare a meno del metronomo in fase di studio. Non riescono a studiare se non hanno qualcosa che gli scandisce il tempo. Altri invece ne fanno proprio a meno e lo utilizzano solamente per stabilire la velocità finale del brano. Qual è la strada corretta?
Io reputo che le nostre sedute di studio non debbano dipendere dal metronomo. Il metronomo può servire per fissare dei traguardi, nulla di più. Possiamo arrivare ad eseguire un passaggio, a 120, domani a 130 e fra una settimana a 160 (ipotetica velocità finale). Anche solo far andare il metronomo dall’inizio alla fine del brano è controproducente. In primis perché ci porta a suonare come della macchine (senza espressione, rallentamenti e accelerazioni). In secundis perché dopo un po’ che c’è di sottofondo il “tic-tac” non lo si sente più e si finisce spesso per andare anche fuori tempo.
Il metronomo andrebbe usato solo per avere un riferimento sul tempo iniziale, poi andrebbe stoppato. Non serve a niente fare ore ed ore di studio col metronomo. Inoltre quel ticchettio lo trovo anche piuttosto fastidioso.
Tuttavia sono molteplici i benefici di questo strumento. Io per esempio, come ho saputo molti altri colleghi, ho difficoltà ad eseguire un brano molto sottotempo. Supponiamo che la velocità di un brano sia a 150 al quarto. Inizio col suonarlo a 70 al quarto perché ho bisogno di studiarlo lentamente per ripulirlo dalle varie imprecisioni. Senza nemmeno accorgermene finisco per arrivare terminare il brano ad una velocità di 100-110. Trovo molta difficoltà nel tenere un tempo lento per un lungo periodo. Così basta mettere il metronomo e riesco a mantenere la velocità data dall’inizio alla fine.
Mi è capitato diverse volte, soprattutto nella musica da camera, di effettuare variazioni di tempo indesiderate all’interno di un brano. Questo succede perché nelle parti in cui il pianoforte è solista, ha più note, più “lavoro da fare” e il tempo sembra essere “giusto”. Nelle parti in cui invece il pianoforte accompagna e ha meno note, il tempo sembra essere molto più lente e quindi tendiamo a correre. In realtà è solo una semplice impressione. Quando si ha poco da fare si tende ad accelerare e quando si ha tanto da fare si tende a frenare. Ecco, il metronomo in questo può esserci estremamente d’aiuto.
Mi ricordo che in vista di un esame decisi di mettere il metronomo su di un passaggio in cui immancabilmente mi ritrovavo a cambiare tempo. Studiai per 2 ore solo quel passaggio col metronomo. Risultato? Che anche nei giorni a seguire, pur non avendo il metronomo, la mia mente si immaginava il “tic-tac” in quel passaggio, con consequente tenuta di tempo. Non è magnifico?? 😉
Penso che il metronomo sia uno strumento molto forte che però deve essere utilizzato con cura. Non bisogna né strafarne né farne a meno. Da piccolo non avevo un buon rapporto con lui. I miei genitori me l’avevano comprato sotto consiglio del maestro ma non lo usavo mai. Lo trovavo inutile. Maturando musicalmente mi sono accorto della sua importanza. Ora lo utilizzo per darmi il tempo, lo utilizzo nei passaggi in cui non mi sento sicuro di tenere bene il tempo, lo utilizzo per fissarmi degli obiettivi, e lo utilizzo per capire la velocità finale che intendeva l’autore del brano.
Non dico che siamo diventati migliori amici ma… conviviamo 🙂
Christian non per essere impertinente,si tratta di una curiositá personale, ma tu con che voto hai superato l'esame di ammissione ai preaccademici in conservatori?